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di Eleonora Rossi
Il seguente elaborato si prefigge di analizzare in chiave di genere il rito buddhista il cui compito è quello di placare gli spiriti dei bambini abortiti. Questo in giapponese prende il nome di mizukokuyō 水子供養 e dopo una breve analisi circa la sua diffusione e le sue origini storiche verrà qui proposto come una pratica di genere nonché fardello morale e psicologico spettante maggiormente alle donne. Per avvalorare la forte correlazione fra il kuyō e la centralità del ruolo femminile, verrà descritta la ritualità della pratica prendendo come esempi principali due templi buddhisti giapponesi dove il rito è centrale nella quotidianità sacrale di essi: lo Hasedera di Kamakura e lo Shiunzan Jizō-ji di Chichibu.
Sebbene il mizukokuyō sia notoriamente conosciuto come un rito per alleviare i sensi di colpa, molto spesso risulta al contrario una vera e propria mercificazione del dolore che prolunga inutilmente la sofferenza delle donne, senza dare loro la possibilità di dimenticare e di andare avanti con la propria vita. Si cercherà dunque di delineare quelli che sono le posizioni preponderanti riguardo al tema e quale sia stato il ruolo dei mezzi di informazione nella diffusione di determinate credenze. Si cercherà infine di capire come sia concepita la problematica dell’aborto in Giappone – ancora il primo mezzo di controllo delle nascite – sia da un punto di vista religioso che medico-scientifico e di mettere in luce come l’intersezione di tali aspetti influisca sul vissuto delle donne che lo praticano, ancora vittime del ruolo soffocante di “buone mogli e sagge madri”.
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